Tra il 1755 e il 1773 Novi Ligure ospitò un Collegio gestito dai Gesuiti. La vita di questa struttura, che dipendeva direttamente dalla prestigiosa sede genovese, fu breve ma, nonostante questo, comunque significativa per la vita della cittadina piemontese. La traccia forse più importante della permanenza della Compagnia di Gesù rimane
tuttora la preziosa tela di Andrea Pozzo oggi conservata nella chiesa della Collegiata. Le tracce che mostrano, ancora oggi, gli antichi legami tra Novi Ligure e Genova sono molte. Alcune sono più evidenti (come l’aggettivo “ligure” nel nome della cittadina), altre hanno bisogno di essere cercate con più attenzione. Una di queste tracce si trova nella piccola piazza Carenzi sulla quale si affaccia un palazzo che, in origine, aveva ospitato un Collegio della Compagnia di Gesù. Il Collegio dei Gesuiti di Novi Ligure dipendeva direttamente dalla sede genovese della Compagnia e non ebbe una vita lunga (sappiamo, infatti, che fu aperto tra il 1755 e il 1758 e che fu chiuso nel 1773 quando l’ordine fondato da Sant’Ignazio di Loyola fu soppresso dal Papa). I Gesuiti assegnati a Novi Ligure, nonostante il lasso di tempo ridotto in cui operarono, ebbero tuttavia modo di attivare vari corsi coinvolgendo un numero sempre crescente di studenti e cittadini. Il segnale forse più evidente del successo dell’attività dei padri fu la decisone di rinnovare, pochi anni dopo l’inaugurazione, l’edificio che ospitava il Collegio. In questa occasione fu probabilmente stabilito perfino di mutare ubicazione ed assetto dell’annessa chiesa per renderla più consona ad accogliere i numerosi allievi del Collegio.
Dopo la soppressione dell’ordine, il complesso ha ospitato le scuole pubbliche e, successivamente, le carceri andando incontro ad una serie di interventi di restauro (anche recenti) che hanno ridotto le testimonianze, probabilmente già esigue, della presenza dei Gesuiti a Novi. Ancor peggiore fu la sorte della chiesa che, nel corso del XIX, fu demolita: dalla dispersione, e forse anche dalla perdita, degli arredi che ne seguì si salvò tuttavia la tela di Andrea Pozzo raffigurante la predica di San Francesco Saverio. La nascita di questa monumentale opera di Andrea Pozzo è ancora oggi avvolta dal mistero. Secondo una prima teoria la tela sarebbe stata, infatti, realizzata espressamente per il collegio novese; secondo un’altra teoria, ritenuta oggi più veritiera, l’opera sarebbe stata invece ideata dall’artista trentino per la Chiesa del Gesù di Genova da dove, a causa del rifiuto dei committenti, sarebbe stata inviata nella chiesa del Collegio novese. Dopo la distruzione della chiesa, l’opera sarebbe stata infine trasportata nella Chiesa della Collegiata ove è tuttora custodita. Non sappiamo ancora esattamente in quali anni Andrea Pozzo abbia realizzato quest’opera ma sappiamo che fu creata in un momento molto importante della sua vita. Andrea Pozzo era un gesuita e quasi tutta la sua produzione artistica è legata a commissioni ottenute della Compagnia di Gesù. L’opera novese costituisce una testimonianza molto importante del processo creativo dell’artista che, proprio in questa fase della sua attività, sperimenta soluzioni iconografiche nuove che in alcuni casi riproporrà in seguito, in altri, invece, abbandonerà. Il protagonista del dipinto novese è Francesco Saverio, un famosissimo santo gesuita noto per la sua attività di predicazione ed evangelizzazione in Oriente, che viene raffigurato mentre è intento a predicare e a discutere con alcuni sacerdoti orientali. La particolarità di quest’opera consiste nel fatto che Andrea Pozzo ha scelto di collocare Francesco Saverio in ombra e allo stesso livello dei sacerdoti e non, come si vede in altre opere relative alle imprese del santo, in posizione elevata rispetto agli ascoltatori. Questo scelta compositiva, con molta probabilità, non piacque ai padri genovesi i quali, non considerando appropriata questa raffigurazione del santo, decisero quindi di rifiutare l’opera. Non pare che Andrea Pozzo abbia replicato questo soggetto, non in questi termini almeno, ma è significativo osservare che le invenzioni compositive ed iconografiche ideate per quest’opera e tanto criticate dai padri genovesi, furono invece perfettamente comprese e riproposte da Carlo Gaudenzio Mignocchi, nipote dell’artista trentino, per una tela custodita nella Chiesa degli Angeli Custodi di Mattarello (TN) e raffigurante, non a caso, la predica di San Paolo.
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